Una percentuale significativa di donne che richiede una visita per problemi di infertilità soffre di endometriosi, in molti casi ancora non diagnosticata.
Si tratta di una delle malattie femminili più temute, proprio perché ancora misteriosamente sconosciuta. Complice anche la difficoltà nella diagnosi che spesso viene formulata in ritardo. E, questo, perché, in molte donne, l’endometriosi non causa dolore se non dopo molti anni.
Una delle prime domande che le donne pongono al proprio ginecologo, una volta ricevuta la diagnosi e definire il piano terapeutico, è se potranno avere figli o meno.
Le probabilità di rimanere incinta sono più basse rispetto a quelle di una donna sana, ma comunque buone. Se la diagnosi è precoce, almeno la metà delle pazienti ce la fa in maniera naturale.
Per cui non vuol dire che la malattia, per quanto frequente e complessa, rappresenti un ostacolo insormontabile al desiderio di maternità.
ENDOMETRIOSI: UNO DEI DISTURBI PIÙ DIFFUSI NELLA DONNA IN ETÀ FERTILE
L’endometriosi è una patologia femminile che colpisce tra il 2% e il 10% delle donne italiane, con un totale stimato di circa 3 milioni di casi e di cui soffre il 50% delle donne infertili.
L’endometriosi può essere definita come un’infiammazione cronica benigna degli organi genitali femminili e del peritoneo pelvico, causata dalla presenza anomala, in questi organi, di cellule endometriali che, in condizioni normali, si trovano solo all’interno dell’utero.
Questo tessuto cresce all’esterno della cavità uterina, nelle ovaie, nella vagina, nelle tube, nel peritoneo e nell’intestino.
Endometriosi: cos’è e come si stabilisce il grado di interessamento
Per tentare di fare luce sulle possibili cause dell’endometriosi sono state formulate diverse teorie.
Una di queste è la teoria della mestruazione retrograda formulata da John A. Sampson.
Secondo questa teoria, normalmente, durante la mestruazione, il sangue mestruale e tutte le sue componenti vengono espulsi per via vaginale.

Tante donne che richiedono una visita per infertilità soffrono di endometriosi.
A volte, però, può succedere che esse risalgano, anziché scendere, attraverso le tube di Falloppio, nella cavità pelvica sino a quella addominale, dove possono proliferare, invadendo i tessuti circostanti. Questa teoria è supportata dalla frequente presenza delle lesioni endometriosiche negli organi della cavità addominale (come le ovaie, l’intestino o la vescica) e dalle somiglianze tra le cellule dell’endometrio e quelle delle alterazioni patologiche dell’endometriosi, oltre al fatto che l’endometriosi interessa soprattutto donne in età fertile, quindi, con il ciclo mestruale.
Al contrario, nonostante la “mestruazione retrograda” si verifichi in circa il 90% delle donne durante il ciclo, l’endometriosi interessa solo il 10% di queste, a indicare che altri fattori sono coinvolti nell’origine della malattia.
La gravità e l’estensione della patologia endometrosica è stata classificata in 4 distinte fasi dall’American Society For Reproductive Medicine (ASRM), l’organizzazione dedicata al progresso della scienza e della pratica della medicina riproduttiva.
La classificazione degli stadi si basa sul livello di estensione e gravità dei danni, che condiziona le possibilità di trattamento:
Stadio 1- Endometriosi Minima: l’estensione della patologia è minima e si caratterizza per la presenza di pochi millimetri di tessuto endometriale al di fuori dell’utero, localizzati in posizione superficiale nei tessuti.
Stadio 2. Endometriosi Lieve: è caratterizzata da un maggior numero di lesioni, che risultano più profonde.
Stadio 3- Endometriosi Moderata: l’estensione è maggiore. Sono presenti cisti ovariche (endometriomi) mono o bilaterali e tessuto aderenziale e/o cicatriziale tra gli organi pelvici.
Stadio 4- Endometriosi Grave: impianti endometriosici molto profondi e presenza di voluminose cisti su una o entrambe le ovaie. Inoltre, esiti cicatriziali e aderenziali importanti.
QUALI LE PROBABILI CAUSE E COME RICONOSCERNE I SINTOMI. LA DIAGNOSI PRECOCE
Dolore e crampi alla schiena, all’addome, soprattutto in concomitanza con le mestruazioni. Dolori durante o dopo un rapporto sessuale. Dolore a livello intestinale o durante la minzione.
Perché il sintomo più diffuso dell’endometriosi è il dolore.

il sintomo più diffuso dell’endometriosi è il dolore. Essa è classificata per stadi di gravità.
Il dolore varia, in genere, durante il ciclo mestruale, peggiorando prima e durante le mestruazioni.
Possono verificarsi irregolarità mestruali, come cicli abbondanti e perdite ematiche premestruali. Il tessuto endometriale dislocato, come il normale tessuto endometriale uterino, risponde agli stessi ormoni estrogenici e progestinici (prodotti dall’ovaio): di conseguenza, il tessuto dislocato può sanguinare durante la mestruazione provocando infiammazione.
La gravità dei sintomi non dipende dalla quantità di tessuto endometriale dislocato: alcune donne che presentano ampie placche di tessuto non manifestano alcun sintomo, altre, perfino con frammenti molto piccoli, presentano dolore invalidante. In molte donne l’endometriosi non causa dolore se non dopo molti anni. In alcuni casi, i rapporti sessuali tendono a essere dolorosi prima o durante le mestruazioni.
Le sedi anomale verso cui più frequentemente migra il tessuto endometriale sono vicine all’utero e includono, per esempio, le ovaie, lo spazio tra la vagina e il retto, la vagina stessa e le tube di Falloppio.
I sintomi variano anche a seconda della posizione del tessuto endometriale.
In base alla posizione gli eventuali altri sintomi sono:
- Intestino crasso: gonfiore addominale, dolore durante l’evacuazione, diarrea o stipsi oppure sanguinamento dal retto durante la mestruazione.
- Vescica: Dolore sopra l’osso pubico durante la minzione, presenza di sangue nelle urine e frequente bisogno urgente di urinare.
- Ovaie: formazione di massa contenente sangue (endometrioma) che talvolta può rompersi o avere delle perdite, con conseguente dolore addominale improvviso e acuto.
Il tessuto endometriale dislocato e il relativo sanguinamento possono irritare i tessuti adiacenti. Di conseguenza, si può formare tessuto cicatriziale, talvolta sotto forma di bande di tessuto fibroso (aderenze) fra le strutture dell’addome. Il tessuto endometriale dislocato e le aderenze possono interferire con il normale funzionamento degli organi. Raramente, però, le aderenze bloccano l’intestino.
L’endometriosi grave può bloccare il passaggio degli ovuli dall’ovaio all’utero, causando sterilità. Anche la forma più moderata può causare sterilità, ma la modalità è meno chiara.
Durante la gravidanza, l’endometriosi può diventare inattiva (fase di remissione) temporaneamente, o anche permanentemente, e tende a diventare inattiva dopo la menopausa, data la riduzione dei livelli di estrogeni e di progesterone.

Allo stadio severo, l’endometriosi può bloccare il passaggio degli ovuli dall’ovaio.
Fondamentali tappe diagnostiche sono l’anamnesi e l’esame ginecologico, ma solo grazie all’ecografia trans-vaginale è possibile arrivare a un’accuratezza superiore all’80% per l’endometriosi dell’ovaio.
Diversamente, l’eco non è utile per individuare le aderenze.
Negli ultimi anni si sta proponendo l’utilizzo dell’ecografia trans-rettale limitatamente ai casi di interessamento dei legamenti utero-sacrali e intestinale.
La risonanza magnetica trova larga applicazione in caso di sospetto di endometriosi del tratto digestivo.
Altre indagini importanti sono:
- esami radiografici dell’intestino;
- pielografia discendente (in caso di endometriosi uretrale);
- cistoscopia (in caso di endometriosi vescicale).
Parallelamente agli esami per immagini, si effettua il dosaggio ematico del CA 125, un marker aspecifico dell’endometriosi. Solo nei casi più difficili la diagnosi si avvale della laparoscopia. La laparoscopia consente la rimozione delle cisti endometriosiche ovariche e dei noduli, la coagulazione delle lesioni minori e la lisi delle aderenze.
La terapia è farmacologica nei casi lievi, chirurgica nei casi severi o associati a sterilità.
L’IMPATTO DELL’ENDOMETRIOSI SULLA FERTILITÀ
L’endometriosi se non curata o comunque “tenuta sotto controllo”, di fatto, potrebbe portare anche ad infertilità. Fortunatamente, se ben gestita, può ostacolare il percorso riproduttivo della donna ma non al punto da renderlo impossibile.
Tuttavia, non è ancora del tutto noto e in che modo è in grado di condizionare la fertilità perché, a seconda della paziente, le cause sono diverse.

Se ben gestita, l’Endometriosi non rende impossibile la gravidanza.
I focolai endometriosici, ad esempio, a seconda di dove sono localizzati, possono danneggiare la qualità degli ovociti, impedendo in conseguenza l’impianto dell’embrione nell’utero oppure possono creare delle aderenze tra i tessuti che vanno ad ostruire le tube.
L’esaurimento precoce della riserva follicolare, legato all’endometriosi, è principalmente dovuto alle tecniche di escissione delle cisti endometriosiche in sede ovarica. Nonostante la tecnica sia stata al centro di un lungo dibattito in dottrina, è ormai accertato che l’asportazione di cisti ovariche, tramite laparoscopia, comporti anche la perdita di tessuto sano, causando una riduzione dei livelli di ormone antimulleriano e del numero di follicoli primordiali ovarici. Essi rappresentano la riserva di fertilità femminile.
Inoltre, la presenza di endometriosi nell’ovaio ha dimostrato di rilasciare alcuni fattori tossici per il normale sviluppo di ovociti, nonché, ancora una volta, la presenza di molecole proinfiammatorie.
La pillola anticoncezionale e i principali trattamenti post-diagnosi
Tutt’oggi, i trattamenti in uso per la terapia dell’endometriosi sono volti a consentire una migliore gestione dei sintomi e ad evitare che essi abbiano un impatto troppo negativo sulla vita, diventando invalidanti. Va chiarito che, essendo una malattia cronica, non esiste ancora una cura definitiva.
In generale, i trattamenti farmacologici non eliminano completamente l’endometriosi. E anche qualora ci riuscissero, il disturbo può ripresentarsi una volta terminata la cura.
Dopo il trattamento farmacologico, però, i tassi di fertilità delle pazienti trattate variano dal 40% al 60%, mentre non cambiano nelle donne con endometriosi minima o lieve.
I contraccettivi orali combinati, ossia che contengono un estrogeno e un progestinico, vengono somministrati per sopprimere la funzione delle ovaie e, quindi, rallentare la crescita del tessuto endometriale ectopico, riducendo così il sanguinamento e il dolore.

L’asportazione di cisti ovariche può avvenire grazie alla laparoscopia
I contraccettivi orali possono essere assunti in modo continuo, specie se il dolore peggiora durante le mestruazioni, e vengono utilizzati principalmente per le donne che non stanno pianificando una gravidanza. Oltre alla somministrazione orale di farmaci contenenti estrogeni e progestinici, esistono anche soluzioni che sfruttano l’assorbimento cutaneo, come i cerotti trasdermici a rilascio graduale, oppure gli anelli trasvaginali.
I farmaci antinfiammatori non steroidei, detti FANS, tra cui ibuprofene, chetoprofene, naprossene, possono essere utilizzati per alleviare il dolore e, nei casi meno gravi, potrebbero anche essere sufficienti.
L’ENDOMETRIOSI E LE PROBABILITÀ DI SUCCESSO DI UNA GRAVIDANZA
Una coppia si definisce infertile quando la gravidanza non arriva dopo un anno di rapporti mirati e regolari. Si stima che il 60-70% delle donne con endometriosi sia fertile, può rimanere incinta spontaneamente e avere figli.
(I) Ma quali sono alcune delle problematiche, provocate dall’endometriosi, durante i tentativi di concepimento?
Quando il tessuto endometriale avvolge le ovaie, può bloccare il rilascio degli ovociti, può impedire agli spermatozoi di risalire le tube di Falloppio, può anche impedire a un ovocita fecondato di attraversare le tube e arrivare all’utero.
(II) Quali le possibili soluzioni per rimanere incinte?
Esistono delle soluzioni per le donne che vogliono rimanere incinta nonostante siano affette da endometriosi, i farmaci, la chirurgia e i trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA).
Soluzioni che hanno fatto la differenza per migliaia di pazienti che affrontano questa malattia debilitante e hanno permesso di realizzare i loro sogni di gravidanza e parto.
Terapie farmacologiche pre-trattamento. Agonisti del GnRH
I farmaci agonisti del GnRH sono un trattamento per l’endometriosi in uso da molto tempo. GnRH sta per ormone di rilascio delle gonadotropine, un ormone naturale che controlla il ciclo mestruale. Gli agonisti del GnRH sono versioni modificate dello stesso ormone.
Sopprimono la produzione di estrogeni da parte del nostro organismo, ormoni che effettivamente “nutrono” i focolai endometriosici.

Quali le possibili soluzioni se si è in cerca di una gravidanza? L’ausilio della PMA.
La soppressione di estrogeni impedisce loro di sanguinare e ne causa la riduzione. Non è possibile rimanere incinta durante l’assunzione di agonisti del GnRH, ma gli studi hanno dimostrato che un ciclo di trattamento con GnRH (in genere da 3 a 6 mesi) prima di sottoporsi a un trattamento di fertilità può migliorare significativamente le probabilità di successo di alcune pazienti.
Quando e come consigliare la procreazione medicalmente assistita (PMA)?
L’endometriosi va affrontata con tecniche terapeutiche per superare le cause che ostacolano il concepimento. Prima di avviare il percorso di inseminazione artificiale, è necessario che le pazienti assumano dei farmaci che consentano di stimolare la produzione dei follicoli.
In secondo luogo, è opportuno “allontanare” l’ovocita dall’ambiente addominale e procedere alla fecondazione in vitro.
Esistono tre tecniche di fecondazione assistita per le donne affette da questa patologia:
La FIVET
La FIVET è una fecondazione in vitro dell’ovulo con successivo trasferimento dell’embrione, formatosi in questo modo, nell’utero della paziente. In sostanza, con questa tecnica gli spermatozoi e gli ovociti vengono fatti “incontrare” in laboratorio e soltanto in una fase successiva, dopo la formazione del pre-embrione, viene effettuato l’impianto nella paziente.
LA ICSI
Un’altra tecnica all’avanguardia è l’ICSI (iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi) che si distingue dalla procedura precedente per il fatto che gli spermatozoi vengono inseriti direttamente nell’ovocita mediante “iniezione”. In entrambe le procedure gli embrioni ottenuti, in seguito alla fecondazione, vengono analizzati in laboratorio e classificati. Per aumentare le possibilità di una gravidanza, saranno introdotti nell’utero soltanto quelli che, per le proprie caratteristiche, vengono ritenuti più adeguati.
Lo sviluppo di tecniche avanzate di diagnosi genetica preimpianto ha consentito di analizzare in vitro lo stato di salute dell’embrione prima dell’impianto, permettendo così di individuare eventuali malattie genetiche o alterazioni strutturali dei cromosomi.
IUI
L’inseminazione intrauterina (IUI) è una tecnica di procreazione medicalmente assistita di I° livello. Il concepimento, infatti, avviene naturalmente nelle tube di Falloppio.
È poco invasiva con conseguente riduzione del disagio psicologico delle pazienti. Tale metodica infatti permette di deporre il liquido seminale, opportunamente preparato, più vicino agli ovociti riducendo così la distanza tra i gameti e bypassando l’acidità vaginale e l’eventuale ostilità del muco cervicale.

Ci sono metodiche che assicurano un buon risultato. Ma è sempre relativo.
Per tutte e tre le tecniche si seguono prima dei protocolli di induzione farmacologica della crescita follicolare (i follicoli sono il supporto per gli ovociti, le cellule uovo racchiuse al loro interno) e dell’induzione dell’ovulazione in modo da avere a disposizione un maggior numero di ovuli pronti ad essere fecondati.
Solitamente, in caso di endometriosi lieve si ricorre alla IUI mentre nei casi più gravi o in caso di continui fallimenti con questa tecnica si procede con la FIVET o con l’ICSI.
ENDOMETRIOSI: A CHE PUNTO È LA RICERCA?
La complessità della gestione di una patologia come l’endometriosi è dovuta non solo al suo trattamento a livello clinico, ma anche alle sue implicazioni psicologiche, in quanto colpisce direttamente le dimensioni individuale, relazionale, sessuale, riproduttiva e sociale della donna.
L’endometriosi, come condizione cronica, influisce negativamente sul benessere delle pazienti, sulla loro salute mentale e, in generale, sulla qualità della vita. I fattori che accentuerebbero maggiormente il disagio psicologico sarebbero l’iter diagnostico, la diagnosi di una eventuale situazione di ipofertilità e il percorso terapeutico. È anche emersa come tratto distintivo delle donne con endometriosi, comparandole con quelle interessate da altre patologie ginecologiche, una tendenza più spiccata all’introversione e all’ansia.
È possibile ipotizzare che la sofferenza corporea e le sue conseguenze determinino una problematica sia psicologica che sociale che relazionale, causando, purtroppo, una rappresentazione di sé carente e deficitaria e una scarsa autostima.
I focus nutrizionali, clinici e genomici
Per quanto attiene, invece, alla ricerca dei possibili fattori di rischio, diversi studi dal 2003 al 2013 hanno dimostrato che esiste una relazione tra la dieta e la patogenesi e la progressione dell’endometriosi.
In particolare, un regime alimentare povero di nutrienti determina significative alterazioni del metabolismo dei lipidi, soprattutto degli steroidi, tra cui gli ormoni sessuali, e altera la normale regolazione dello stress ossidativo e dell’epigenetica dell’espressione genica. Tutti meccanismi coinvolti nell’eziologia dell’endometriosi.

I risultati della Ricerca, tra focus nutrizionali, clinici e genomici.
Al contrario, cibi che contrastano questi meccanismi patogenetici servono a potenziare gli effetti delle terapie messe in atto per la gestione della patologia e rappresentano degli adiuvanti fondamentali, su cui ogni paziente può agire in modo proattivo.
È consigliabile che le pazienti che convivono con l’endometriosi aumentino il consumo di alimenti ricchi di fibre fino al 20%-30% per pasto. Le fibre possono essere introdotte nell’organismo assumendo frutta e verdura, legumi, cereali integrali, che contengono anche poco glutine, frutta secca e semi oleosi, che forniscono ferro e acidi grassi omega 3.
Nutrienti come calcio, zinco, selenio, vitamine C ed E e i composti bioattivi, come carotenoidi, flavonoidi, indoli e isotiocianati esercitano un effetto benefico, contrastando i meccanismi patologici che causano l’endometriosi, come il bilancio metabolico ormonale, la crescita cellulare e l’apoptosi. Importante è anche fornire il corretto apporto di calcio, magnesio e vitamina D, per evitare la demineralizzazione ossea causata da alcune terapie mediche per l’endometriosi.
Frutta e verdura, alle quali si sommano tè, contengono anche polifenoli, come antocianine, flavonidi, isoflavonoidi, lignani e acidi idrossibenzoici, che, essendo in grado di modulare l’attività di enzimi coinvolti nel metabolismo delle specie reattive dell’ossigeno, possiedono un forte potere antiossidante.
È suggerito anche di mangiare cibi che contengono acidi grassi, omega 3 presenti nel pesce azzurro, come salmone, sgombro, aringhe, sardine.
Un’alimentazione ricca di acidi omega 3 sembra possa ridurre il dolore e l’infiammazione provocati dalle lesioni endometriosiche, favorendo così un miglioramento della qualità della vita delle pazienti. Tutti questi alimenti diminuiscono l’infiammazione, aiutano la digestione e il buon funzionamento dell’intestino, e riducono gli estrogeni circolanti nel sangue.
ENDOMETRIOSI E CONGELAMENTO OVOCITARIO: UN’OPZIONE PREVENTIVA
Considerando l’alta prevalenza della malattia e la sua difficile diagnosi e gestione terapeutica a causa della sua complessa patogenesi, che deve ancora essere completamente chiarita, bisogna prendere in considerazione tutti i trattamenti medici.
Lo specialista può proporre a ogni paziente il trattamento medico più adatto per trattare l’endometriosi, chiarendo i rischi e i benefici di ognuno. Nella valutazione delle varie soluzioni terapeutiche, sia farmacologiche che chirurgiche, vanno considerati vari fattori, tra cui l’età, i sintomi, se si sta pianificando una gravidanza, e i precedenti trattamenti affrontati.

Congelamento ovocitario. Una opportunità concessa dai progressi della medicina.
Soffrire di endometriosi, desiderare un figlio e averlo non è impossibile.
Perché oggi, il 95 per cento delle donne sotto i 35 anni affette da endometriosi riesce a ottenere una gravidanza, anche ricorrendo alle tecniche di vitrificazione dei propri ovociti.
Merito del progresso nelle tecniche di vitrificazione che, nell’ultimo decennio, hanno permesso lo sviluppo di efficaci programmi di preservazione della fertilità, capaci di offrire sempre maggiori garanzie di una futura gravidanza alle donne la cui riserva ovarica può essere compromessa per diversi motivi.
Uno di questi è proprio l’endometriosi che, nella maggior parte dei casi, implica la necessità di affrontare una terapia farmacologica e un successivo percorso di fecondazione assistita per coronare il desiderio di maternità.
A questo riguardo, il numero di ovociti crioconservati e l’età della paziente sono fattori chiave per il successo di un percorso di riproduzione assistita. C’è però un numero ben preciso di ovociti da vitrificare per ottimizzare le possibilità di successo del trattamento di PMA.
Lo ha evidenziato un recente studio, pubblicato su PubMed, che ha dimostrato che maggiore è il numero di ovociti vitrificati, tanto più alte saranno le possibilità di successo del percorso di fecondazione assistita.
In particolare, nelle pazienti di età inferiore ai 35 anni, affette da endometriosi, è stato raggiunto un tasso di successo del 95% nei trattamenti di PMA effettuati a seguito della vitrificazione di circa 20 ovociti; mentre, nelle pazienti di età superiore ai 35 anni, il tasso di successo si è attestato intorno all’80%.
Questi dati erano già noti per le donne che si sottopongono al social freezing, ma non erano ancora stati verificati per le pazienti con endometriosi, per le quali la questione è ancor più rilevante dal momento che, per loro, il rischio di esaurimento prematuro della riserva ovarica è maggiore.
Lo studio ha preso in esame i dati di 485 pazienti affette da endometriosi che hanno preservato la loro fertilità, tra il gennaio 2007 ed il luglio 2018, e che successivamente hanno cercato una gravidanza.
I risultati indicano chiaramente l’effetto positivo della giovinezza sugli esiti riproduttivi nelle pazienti con endometriosi.

Maggiori saranno gli ovociti crioconservati, maggiori le chance di gravidanza.
Allo stato dell’arte, i ricercatori si chiedono anche se la sopravvivenza degli ovociti e i risultati clinici saranno più compromessi nelle pazienti giovani con endometriosi, che hanno preservato la propria fertilità, rispetto ai risultati di donne senza endometriosi, che abbiano anch’esse scelto di preservare la propria fertilità.
Ma di questo, probabilmente, ne avremo riscontro nel prossimo futuro.
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