Lo scorso mese ho seguito, personalmente, una coppia nella tre giorni che precedono la tecnica di ovodonazione in Spagna e, con la loro autorizzazione, ho pensato di portare a conoscenza dei lettori questa pratica di fecondazione assistita nel pieno della seconda ondata di contagi da covid-19.
Un periodo difficile che mai prima d’ora avevamo affrontato e che rende ancora più delicato tutto il percorso.
La clinica in cui accompagniamo i nostri pazienti è la Clinica Rincòn di Malaga.

Ho accompagnato una coppia di pazienti per una tecnica di ovodonazione in Spagna.
Ma perché andare in Spagna per effettuare una eterologa con ovociti donati, se in Italia ora è possibile in seguito al pronunciamento della Corte Costituzionale, grazie al quale si sono allargate le maglie di restrizione della legge 40? Le ragioni sono diverse e sono elencate in dettaglio nel mio articolo del 24 Aprile 2019 (Scopri di più).
Dunque, partiamo dall’inizio.
OVODONAZIONE IN SPAGNA: CHI CE L’HA FATTA. UNA FAMIGLIA COME TANTE
Oggi Viola ha una bimba di quattro anni. Le legge un libro di favole mentre mi aspetta nell’atrio. È venuta per salutarmi, ancora.
Ho potuto vedere quanto sia cresciuta la sua bambina quasi ogni anno.
È straordinario riconoscere i tratti della madre sul suo viso. Mi racconta come le dicano che ha lo stesso carattere del nonno. Eppure, lo sanno tutti che Sofia è nata grazie ad un’ovodonazione. Viola non ha mai nascosto a nessuno dei suoi parenti, e dei suoi amici, le difficoltà incontrate, in ogni caso non avrebbe potuto.
Mi accorgo di alcuni atteggiamenti in Sofia che mi sembra di riconoscere, del modo in cui distoglie lo sguardo quando è imbarazzata, di come si acciglia prima di sorridere. E posso rivedere, in lei, Viola. Sono certa che queste similarità siano acquisibili dalla frequentazione, dalla convivenza, anche solo per senso di emulazione.
Eppure, se non lo sapessi, non penserei mai che Viola non sia la sua madre biologica.

Viola sta già raccontando a Sofia di come alcuni bambini vengono al mondo.
Mi siedo con loro le ascolto parlare prima con me e, poi, fra di loro. E si perfeziona in me un senso di gratificazione per la nuova vita di Viola, nonostante quel tanto di meccanico e di impersonale, in qualità di embriologa, mi abbia costretta deontologicamente a suggerire una scelta anziché un’altra.
Oggi Viola è felice. Mi parla del fatto che sta già raccontando a Sofia di come alcuni bambini vengono al mondo. E mi confida che è arrivato il momento di darle un fratellino o una sorellina.
COME AVVIENE L’OVODONAZIONE IN SPAGNA
Nella maggior parte dei casi, in un ciclo di ovodonazione, ciascuna coppia ha a disposizione dai 6 agli 8 ovociti, il numero varia in base al numero di follicoli che la donatrice ha prodotto in risposta alla stimolazione. Tali ovociti, dopo essere stati prelevati, vengono fertilizzati in vitro con il seme del partner e dopo 2/3 giorni gli embrioni generati vengono trasferiti nell’utero della ricevente.
Possono essere trasferiti al massimo due embrioni. I restanti, detti sovrannumerari, vengono lasciati in coltura ed eventualmente congelati in quinta giornata allo stadio di blastocisti.

Oltre ai due embrioni trasferiti, i sovrannumerari vengono lasciati in coltura e congelati.
È pratica ricorrente, nelle cliniche di fecondazione assistita, congelare blastocisti non utilizzate nella tecnica specifica, così da, poter ripetere la tecnica sia nel caso di risultato negativo che positivo.
“IL CASO DI VIOLA”
Nel caso di Viola, cinque anni fa abbiamo congelato le due blastocisti restanti per eventuali futuri tentativi.
Oggi Viola è pronta. È pronta a riaffrontare quel lungo viaggio che l’ha portata a ridefinire la sua vita in funzione di una insperata maternità e forte della consapevolezza di avere l’approvazione del suo compagno.
Da donna, comprendo che ciò che la spinge a ripetere quella esperienza non è la semplice convinzione di potercela fare ancora ma un invidiabile spirito altruistico che la porta ad accogliere quanto la vita potrà offrirle e a donare tutta sé stessa per un fine superiore, la stabilità della sua famiglia.
E allora, dopo qualche mese, iniziamo con gli esami di routine. <Non è importante che sia figlio mio. Ma sarà suo fratello o sua sorella, anche geneticamente.> mi disse.
OVODONAZIONE: DOVE FARLA? IN VIAGGIO PER MALAGA
E il giorno della partenza per Malaga è arrivato.
È tutto diverso in aeroporto alle 7.00 del mattino ora che ci apprestiamo ad affrontare una fecondazione assistita con il covid-19 con semplici mascherine.
Anche l’odore del caffè sembra viziato di disinfettante, che soffoca il riacquisito senso di sicurezza in un altalenante vortice di disaffezione per ogni cosa dalla più insignificante.
Abbiamo preso lo stesso aereo io Viola e Dario in uno scenario surreale.

In aeroporto uno scenario surreale nel pieno della seconda ondata di contagi da covid-19.
La maggior parte dei banchi per il check-in chiusi. Orari di partenza che slittano e le cancellazioni si moltiplicano. Pronti all’imbarco. In aereo la maggior parte dei posti vuoti fa rimpiangere i tempi in cui ci si lamentava della mancanza d’aria. Dopo qualche ora, si arriva a Madrid, ma dobbiamo attendere due ore per un altro volo che ci porterà a Malaga.
Faccio questo viaggio almeno tre o quattro volte all’anno. Alcune mie pazienti vivono, comprensibilmente, un’ansia contagiosa quando devono accompagnare i loro sogni ad una valigia di ricordi strazianti, di cure ormonali ripetute, di fasi depressive mai completamente superate con il timore di dover riaffrontare un altro fallimento.
E allora hanno bisogno di me, non solo come embriologa, ma come donna.
FECONDAZIONE ETEROLOGA IN ITALIA: LE DIFFICOLTÀ DEL NOSTRO PAESE
Continuo a chiedermi perché il nostro Paese deve costringere tante donne a sopportare tutto questo. Ma conosco la risposta.
Le difficoltà oggettive delle strutture pubbliche nel proporre la fecondazione eterologa in Italia, in particolare per la mancanza di donne disposte a donare i propri ovociti e di fondi per acquistarli all’estero, rende tutto ciò così maledettamente evidente.
Mi sistemo in albergo, oramai, dopo anni, mi riservano quasi sempre la stessa stanza. Almeno qui mi sento a mio agio. Passo la maggior parte del tempo in camera quando non sono in laboratorio o in clinica. Rispondo alle domande sui social e leggo.

Ormai, dopo anni, mi riservano sempre la stessa stanza. Mi dedico alla lettura e ai social.
Le ore che precedono l’appuntamento in clinica, per Viola e Dario, sono piene di speranza. Trascorriamo un po’ di tempo insieme nell’hall dell’albergo. E nel frenetico susseguirsi di aspettative ci troviamo a ripercorrere i momenti vissuti, dai primi esami alle tecniche fallite e, inevitabilmente, alla gravidanza eterologa di cinque anni prima.
Mi parlano di Sofia e, sebbene suggerisca di vivere quelle suggestioni positivamente ma di accantonarle temporaneamente, mi chiedono di rassicurarli ancora sulla essenziale necessità di non poter mai arrivare a conoscere le generalità della donatrice. Vivranno questi stati d’animo, le paure e le ansie, ancora per tanti anni.
Ma in Spagna l’ovodonazione è una realtà da oltre trent’anni. Qui donare ovociti è una pratica diffusa e la disciplina ben regolamentata.
OVODONAZIONE. IN CLINICA ANCHE DI DOMENICA
L’indomani, in clinica, vengono accolti dall’operatrice italiana che descrive l’iter per l’ovodonazione che dovranno seguire nelle ore successive. Li lascio ad attendere il loro momento, fermandomi a stringere la mano di Viola, che invece accenna un sorriso appena intuibile dallo sguardo.
Io mi avvio a cambiarmi per raggiungere il responsabile del laboratorio. Qui siamo in ottime mani e vedere le blastocisti (ovvero gli embrioni in uno stadio di sviluppo avanzato) di cinque anni fa mi regala una forte emozione. Erano perfette, e lo sono ancora.
Questa volta, per l’ovodonazione in Spagna, ho accompagnato solo Viola e Dario. Gli sono molto legata ne abbiamo passate tante. Li conosco oramai da più di dieci anni e sono stati una delle prime coppie che ho seguito da quando lavoravo nel pubblico. Ma oltre che per il fattore tempo, per me rimangono molto importanti per la loro storia di dolore, gli immensi sacrifici morali ed economici, che si è conclusa in un lieto fine.
È domenica. Qui si lavora. L’organico della Clinica è al completo. Viola e Dario solcheranno quella porta verso le 9.00. Io sarò in laboratorio.
IL MIGLIOR CENTRO DI FECONDAZIONE IN SPAGNA: LA CLINICA RINCÒN DI MALAGA
La Clinica Rincòn di Malaga opera in una struttura dotata di tecnologia d’ultima generazione. I laboratori sono equipaggiati con le più moderne e sofisticate attrezzature e fino allo scorso anno ha ultimato, solo per ciò che riguarda le ovodonazioni, circa 800 cicli di fecondazione con ricorso alla donazione di ovociti “a fresco” con un successo che si attesta intorno al 63% per tentativo.

In Spagna, duranti i cicli, si lavora anche di Domenica. L’organico è al completo.
E allora rifletto sul fatto che fino agli anni ’80 si potevano effettuare solo tecniche che prevedevano la donazione di spermatozoi. Solo in seguito all’aumento vertiginoso di donne con insufficienza ovarica primaria si è estesa questa opportunità rendendo possibile anche la donazione di ovociti.
Con il tempo, le tecniche di fecondazione eterologa sono divenute, sempre più, un’accettabile modalità di costruzione familiare, per quanto possa apparire lontana dal nostro modo di concepire la famiglia in senso tradizionale.
E penso a come sarà considerata la fecondazione eterologa tra venti anni, con una popolazione mondiale sempre più in là con gli anni e una natalità ai minimi storici.
È TUA FIGLIA. NON LO DICO IO. LO DICE L’EPIGENETICA
Solo se ripenso a quando intravidi Viola sul lettino della Clinica in quel freddo dicembre di quattro anni fa. Il suo viso era una maschera di emozioni contrastanti, provato sì ma, al contempo, beato. Stringeva la sua Sofia. Per quanti anni aveva atteso questo momento. E lei guardandomi, quasi a cercare di convincermi, continuava a ripetere: «È mia figlia, finalmente. È bellissima>.
Dario si gongolava in disparte, non voleva, apparentemente, rovinare il quadro che aveva immaginato di vedere da chissà quanto tempo. Volevano essere genitori e c’erano riusciti. Questo è quello che conta. Di amore ne avrebbero dato tanto a Sofia. Ne sono stata sempre convinta.

Vi è uno scambio di informazioni genetiche tra l’embrione e la madre anche quando l’ovulo è donato.
<Portarla in grembo ti ha reso madre a tutti gli effetti, Viola.> E per confortarla ancora, semmai ce ne fosse stato bisogno, continuai: <Non sei un’estranea, geneticamente parlando. L’attività del DNA può modificarsi nell’utero materno anche senza che si modifichi la sua sequenza. Il tuo embrione si sviluppa con te.>
L’epigenetica, e i suoi studi più recenti, dimostrano che esiste un importante scambio di informazioni tra l’embrione e la madre, e che questo può modificare l’informazione genetica del figlio anche quando l’ovulo è stato donato.
Molti geni possono non manifestarsi affatto o possono farlo solo parzialmente, in base ai fattori ambientali, e quello che succede nell’utero materno è più importante di ciò che accade dopo la nascita.
OVODONAZIONE IN SPAGNA: IL TRANSFER
In sala operatoria entra solo Viola. Dario non può che aspettare nell’altra stanza.
Prima di essere trasferiti gli embrioni vengono posizionati in una goccia di terreno di coltura e tenuti sotto osservazione microscopica.
Vengono, poi, caricati in laboratorio dall’embriologo in un catetere molto morbido e sottile che viene consegnato al ginecologo ed inserito in utero fino a raggiungere il fondo dove vengono rilasciati gli embrioni.
L’espressione di Viola prima di entrare, con quella mascherina obbligatoria per le misure anti covid-19 che le copriva a mala pena la punta del naso, mi aveva contagiata. Comunque sono lì, in sala accanto a lei, a darle coraggio e a dirle che andrà tutto bene.
In pochi minuti il transfer embrionale è perfettamente eseguito. Si torna in stanza, con la sensazione di voler o poter fare ancora qualcosa. Abbiamo atteso tanto questo momento.

Lei piange, mi stringe e mi saluta, allontanandosi, come se non ci dovessimo più vedere.
L’indomani in aeroporto, abbiamo due voli diversi. La frenesia dell’attesa non può essere nascosta da una semplice mascherina.
Le stringo le mani. <Ora, non ci resta che crederci.> Le dico. Lei piange, mi stringe e mi saluta, allontanandosi, come se non ci dovessimo più vedere.
Proprio così è andata la prima volta, penso, e così, senza nemmeno dircelo, abbiamo fatto oggi.
Buona fortuna Viola.
Dalla tua amica Chiara.
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