Esiste davvero una relazione tra madre e feto che consente al DNA materno di condizionare l’espressione dei geni del nascituro?
A volte è lo sguardo o il modo in cui arriccia il naso. Molto spesso è quell’inconfondibile fossetta sulla guancia. Capita a moltissime mamme di rivedere un pezzetto di sé stesse nel proprio figlio. Anche quando il bambino non è stato concepito naturalmente o addirittura quando il concepimento è avvenuto tramite l’ovulo di una donatrice. In questi casi, allora, si potrebbe pensare che quelle somiglianze siano solo un’illusione, una sensazione dettata dall’emotività. In realtà non è così. È genetica. O meglio epigenetica.
Alcune mie pazienti confessano che i loro figli, ottenuti con eterologa, sembrano avere il loro stesso sorriso. E non si sbagliano. Perché, oggi, sappiamo che la relazione tra madre ed embrione incide sullo sviluppo del bambino, anche in donne infertili che ricorrono alla ovodonazione, che ricevono, cioè, ovuli da una donna estranea.
FECONDAZIONE ETEROLOGA: IL DNA NON È TUTTO
Quando una coppia aspetta un bambino è del tutto normale fantasticare su come sarà. I futuri genitori trascorrono parte della gravidanza a chiedersi se il figlio avrà il viso della mamma, se sarà determinato come il papà o se magari assomiglierà ai nonni. E una volta nato il piccolo, lo scruteranno attentamente per trovare tracce del loro Dna.
Tuttavia, nel momento in cui la coppia è costretta a ricorrere alla fecondazione eterologa, il sogno di avere un piccolo “clone” di sé svanisce. In realtà, non è detto che sia così, perlomeno nel caso in cui si utilizzino gli ovuli di una donatrice.
La fecondazione eterologa si basa sull’utilizzo di ovuli femminili o di spermatozoi maschili donati da membri esterni alla coppia. In genere, si ricorre a questa soluzione quando uno dei due genitori ha problemi di fertilità. In pratica, si mettono in contatto i gameti donati con quelli del genitore fertile e si spera che avvenga la fecondazione.
Nel caso in cui la metodica vada a buon fine, il feto non avrebbe alcun legame biologico con il genitore infertile, il quale non dovrebbe, quindi, ritenere di trasmettere caratteristiche del proprio Dna al figlio. Questo, perlomeno, era quanto si pensava fino a qualche tempo fa. In realtà, oggi, possiamo ritenere che, almeno nel caso delle mamme, non sia così.
La futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna. In ogni caso il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre. E non è certo da trascurare il fatto che essa lo partorirà ed allatterà. Tutti aspetti essenziali per cui quel bambino sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.
Fra mamma e bebè c’è sempre uno scambio di materiale genetico?
La donna che porta in grembo per nove mesi il piccolo e lo dà alla luce non è la sua mamma biologica, non gli trasmette i suoi cromosomi, anche se vive l’esperienza completa della maternità. Lo sente crescere dentro di sé e lo partorisce “soltanto”.
L’ovodonazione, non è certo una novità, si pratica ormai da decenni, ma la nostra cultura non l’ha ancora metabolizzata del tutto. E, ancora, oggi per una donna è un passo impegnativo decidere di generare un figlio con un ovocita donato, accettando l’interruzione della continuità genetica.
Dalla ricerca scientifica, però, arriva un messaggio rassicurante. L’organismo della madre portatrice non è un semplice contenitore che ospita il nascituro, ma influisce in modo determinante sul suo sviluppo, modulando l’attivazione dei suoi geni.
È, quindi, si un contenitore, ma che dà forma al contenuto e lo rende, significativamente, a propria immagine e somiglianza.
Perché la trasmissione di molecole tra la donna incinta e l’embrione avviene prima che si impianti nell’endometrio. Questo perché quando si verifica la fecondazione, sono necessari circa cinque giorni affinché l’embrione si sposti dalle tube di Falloppio alla cavità uterina. Una volta lì, l’impianto non si verifica fino alle successive 24-36 ore, momento in cui si attacca all’endometrio.
Durante questo periodo di tempo, in cui la donna incinta secerne il liquido endometriale con l’informazione genetica che viene appresa dall’embrione, si modifica il suo sviluppo. Questa informazione non è altro che microRNA che viene interiorizzato nell’embrione fino a modificarlo trascrizionalmente. Il che fa esprimere le proteine che ne favoriscono l’impianto. È come se la madre dicesse all’embrione “il mio endometrio è pronto”. Alquanto suggestivo non c’è che dire!
Tracce di DNA materno nel liquido amniotico
È da tener presente che pochi anni fa, un gruppo di ricercatori britannici, dell’Università di Southampton, pubblica, esattamente nel 2015, sulla rivista Development, i risultati di uno studio, condotto su donne gravide che erano ricorse alla fecondazione eterologa.
La ricerca ha impiegato un campione di future mamme, incinte grazie alla fecondazione eterologa. Gli studiosi hanno deciso di prelevare un piccolo campione di liquido uterino, all’interno del quale cresce il bambino, e l’hanno analizzato tramite innovativi strumenti di laboratorio. Hanno, così, rilevato che in tutti i campioni prelevati sono presenti delle tracce del Dna materno e hanno riscontrato che quest’elemento influenza in modo significativo lo sviluppo dell’embrione.
Ovviamente occorre aspettare studi più approfonditi prima di arrivare ad affermare che, nonostante la fecondazione eterologa, la mamma possa trasmettere il proprio Dna al bambino, ma certamente da oggi è possibile sostenere che fra le donne infertili che utilizzano ovuli di una donatrice e il bimbo nella loro pancia esiste uno scambio di materiale genetico.
DNA MATERNO E IMPRINTING ALLA NASCITA
Ma le madri, come vivono l’idea della donazione di gameti?
Secondo uno studio che raccoglie le esperienze di dieci donne dai 36 ai 47 anni durante il trattamento di fecondazione assistita con donazione di ovociti ed embriodonazione, tutte le donne sentivano come proprio il bambino.
Inoltre, tutte hanno dichiarato che l’amore per i loro figli non era influenzato dal fatto che non avrebbero condiviso il legame genetico. Ciò suggerisce che la capacità delle pazienti di legarsi al bambino non sarebbe influenzata dalla capacità di trasferimento genetico, proprio come sostengono ricerche precedenti.
Il rapporto genitore-figlio nelle famiglie che si sono sottoposte a procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti è autentico esattamente come quello delle famiglie tradizionali e sorregge il punto di vista della teoria dell‘attaccamento di Bowlby. Non è necessariamente la connessione genetica ma sono le interazioni positive che causano l’attaccamento emotivo.
In che cosa consiste l’imprinting epigenetico?
Pazienti che ricevono ovociti da donatrici si sono, in maniera omologata, rassegnate al fatto che i loro bambini non assomiglieranno mai a loro pensando che l’embrione, creato in un ciclo di fecondazione eterologa con ovociti donati, contenga solo il DNA del padre e della “madre” donatrice.
Ma non è del tutto vero.
L’embrione umano subisce modificazioni evolutive complesse durante tutto il periodo di preimpianto, durante il quale entra nella cavità uterina allo stadio di blastocisti e si inserisce nel fluido endometriale. Durante l’impianto dell’embrione, esso interagisce con l’endometrio. Il fluido viscoso, secreto dalle ghiandole endometriali nella cavità uterina, nutre l’embrione e costituisce il microambiente in cui si verifica il primo dialogo bidirezionale tra l’endometrio materno e l’embrione. Il fluido endometriale secreto fa sì che venga rilasciata l’informazione genetica della madre che viene poi assorbita dall’embrione.
Questa “comunicazione” spiegherebbe il processo di trasmissione, da parte della mamma al bimbo, di alcune sue caratteristiche fenotipiche e l’esistenza di somiglianze in alcuni tratti fisici tra madre e figlio, anche nei trattamenti di ovodonazione.
La futura madre è perciò in grado di “modificare” il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna.
Questo succede perché esiste uno scambio tra le molecole della madre gestante e il DNA dell’embrione, modificando, così, alcuni geni. In questa comunicazione si ritrova la capacità della madre gestante di modulare l’espressione genetica dell’embrione. Non vi è un intercambio della carica genetica in sé ma la capacità regolatrice di ciò che manifesterà il DNA del suo futuro figlio.
In ogni caso, sicuramente il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre.
DNA materno. Il trasferimento dopo l’ovodonazione
Quando un embrione raggiunge l’utero, che sia frutto di concepimento spontaneo o di fecondazione in vitro, omologa o eterologa, avvia un dialogo serrato con l’organismo materno mediante lo scambio di messaggi biochimici.
Alcuni tratti esteriori del bambino, come l’altezza, il colore della pelle, degli occhi, dei capelli, derivano dal DNA dei due genitori genetici. Su queste caratteristiche la madre portatrice della gravidanza non ha influenza. Per favorire l’integrazione del bimbo nella sua famiglia, gli operatori che reperiscono i gameti per la fecondazione eterologa scelgono donatrici, e donatori nel caso dei gameti maschili, che siano fisicamente somiglianti alla coppia ricevente.
Ma la somiglianza di un figlio ai genitori non sta solo nella corporatura, nel colore della pelle, degli occhi e dei capelli. In buona parte è data dai movimenti del corpo (atteggiamenti), dalle espressioni del viso, dalla cadenza della voce.
E qui ancora la scienza è di incoraggiamento alle donne che fanno ricorso all’ovodonazione. Sappiamo che fin dai primi mesi di vita i bimbi osservano la mimica facciale e i gesti di mamma e papà e, grazie ai cosiddetti neuroni specchio, li fanno propri, li assorbono. Imparano in modo istintivo a comunicare emulando il linguaggio corporeo dei genitori e delle altre persone che si prendono cura di loro giorno dopo giorno.
Ecco quindi che, indipendentemente dall’origine del suo DNA, il bambino crescendo acquista lo stesso sorriso della mamma o lo stesso modo di alzare le sopracciglia del papà. E sono queste le caratteristiche che lo rendono somigliante alla coppia che lo ha messo al mondo, ancor più della carnagione o della forma degli occhi. Non è imitazione, ma formazione: il figlio diventa quel che è su modello dei suoi genitori anche se non condivide i loro cromosomi.
L’IMPORTANZA DELL’EPIGENETICA NELL’OVODONAZIONE
Cos’è l’epigenetica? E in che modo la trasmissibilità del DNA materno influenza la scelta sulla fecondazione eterologa?
L’Epigenetica va oltre la genetica. È un ramo della scienza che è sempre più rilevante nel campo della fecondazione assistita e, in particolare, nella fecondazione eterologa, in quanto studia le mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari non attribuibili direttamente alla sequenza del DNA.
Per capire come funziona, possiamo immaginare che le informazioni genetiche del bambino siano come un’enciclopedia. Ciascuno degli atomi sarebbero i cromosomi. E all’interno di ogni libro, parola e frase acquisiscono significato attraverso i segni di punteggiatura.
Potrebbe, l’Epigenetica, essere paragonata a questi segni di punteggiatura, quelle piccole modifiche che puntualizzano le informazioni genetiche ereditate dai genitori. Attiva o disattivando i geni in risposta all’ambiente e allo stile di vita, ma senza modificare la sequenza del DNA.
L’epigenetica è, quindi, la comunicazione tra la madre incinta e l’embrione prima che avvenga l’impianto. Una comunicazione che porta a modifiche nel genoma del futuro bambino. Questa scienza, nella fecondazione eterologa, spiega perché molti bambini nati grazie alla donazione di ovociti assomigliano alle loro madri.
C’è uno scambio tra l’endometrio e l’embrione, già sospettato per la coincidenza di alcuni tratti fisici tra madri e bambini in ovodonazione, nonché l’incidenza di malattie nei bambini, legate a patologie materne durante la gravidanza come obesità o diabete mellito di tipo II.
Uno studio conferma l’esistenza di una comunicazione tra madre gestante ed embrione
Durante la gravidanza le modalità di comunicazione con il feto sono svariate.
È un rapporto fatto di continue reazioni e questa relazione sarà alla base del legame che si svilupperà dopo la nascita. Si stimoleranno le capacità sensoriali del feto e se ne promuoverà la maturazione.
Ma quando inizia la comunicazione tra madre e figlio?
Potremmo affermare che comincia da quando la donna viene a sapere di essere incinta. I vissuti della donna in gravidanza sono molto spesso inconsapevoli ed agiscono sulla modulazione psicosomatica, sul sistema immunitario, sui livelli ormonali e sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Queste modificazioni per via umorale passano all’embrione, che a sua volta risponde per via umorale all’organismo e alla mente della madre.
Dopo questa prima fase, e cioè quando si sviluppano i sensi del feto, si può parlare invece di comunicazione sensoriale, che avviene in particolare per via tattile e uditiva.
Le conoscenze che oggi disponiamo sulla sensorialità del feto e sulla capacità materna di entrare in comunicazione e, quindi, in relazione col proprio bambino in un’epoca così precoce, sono preziose.
L’Imprinting e i recenti studi sul fenomeno
Recenti studi sull’epigenetica hanno focalizzato l’attenzione sulla relazione feto-materna, in grado di incidere sul patrimonio genetico del nascituro.
Secondo uno studio epigenetico, particolarmente quotato, una mamma sottoposta a fecondazione eterologa può trasmettere il proprio patrimonio genetico al bambino.
Questo studio sta alimentando l’entusiasmo di tutte le aspiranti mamme che pensavano di ricorrere all’ovodonazione e sta confermando quello che molte madri, che già sono ricorse a questa soluzione, sentivano a livello più inconscio. Lo studio dimostrerebbe, infatti, che la paziente che riceve l’ovulo, per un fenomeno epigenetico, riesce a modificare l’imprinting originario, trasmettendo parte delle sue caratteristiche al bambino.
È noto come l’ambiente uterino nel quale si sviluppa l’embrione, e poi il feto, non è un sistema “chiuso” e come il sistema circolatorio e respiratorio tra mamma e figlio sono in buona parte “condivisi”.
Negli ultimi anni si è fatta strada l’ipotesi che questo interscambio continuo di sostanze metaboliche e biochimiche, nonché il profondo legame psicoemotivo tra la futura mamma e l’embrione, possano influire sull’ereditarietà dei tratti somatici e caratteriali e ciò anche quando non sussistano legami biologici, come nel caso della fecondazione con ovulo donato.
Questo ed altri recenti studi consentono, oggi, alle coppie, e in particolare alle donne sottoposte all’ovodonazione, di affrontare più serenamente il difficile percorso psicologico ed emotivo di accettazione di un figlio non generato dall’unione del patrimonio genetico del proprio ovocita con lo sperma del partner.
DNA MATERNO. LA RELAZIONE CON IL FETO E GLI STUDI DELL’EPIGENETICA
Quali altri fattori possono influenzare il modo in cui i geni del bambino vengono espressi?
È proprio dal concepimento al secondo anno di età che si costruiscono i pilastri per il nostro stile di vita e per la predisposizione (non genetica) alle malattie non trasmissibili, lo sviluppo cognitivo e la salute del microbiota gastrointestinale, solo per citarne alcune.
Si tratta della Barker’s hypothesis, oggi sempre più lontana dall’essere un’ipotesi e sempre più vicina ad essere una certezza.
In effetti la crescita dell’individuo non dipende solo dalla sua ereditarietà (intesa come patrimonio genetico codificato nella doppia elica del DNA cellulare, o genotipo), ma anche dall’ambiente in cui è immerso, fondamentale per la sua maturazione.
Ne deriva un’interazione, molto complessa, con ciò che ci circonda.
Ma quali sono i fattori che influenzano la crescita?
Tra i fattori ambientali che influenzano la salute negli anni a venire, la nutrizione sembra essere quella con il maggiore impatto. Tanto importante da “programmare” differenze significative nella crescita, nelle funzioni cardiovascolari e metaboliche, neurologiche e biomeccaniche.
Non è solo il patrimonio genetico ereditato dai genitori a influire su quello che sarà lo stato di salute futuro del bambino e, poi, dell’adulto, ma anche l’ambiente che lo circonda, a partire da prima del concepimento. Lo stile di vita dei futuri genitori, infatti, influisce sugli ovociti della mamma e sugli spermatozoi del papà e condizioneranno il funzionamento dei geni del bambino.
Dopo il concepimento gli stimoli esterni continuano a influenzare il feto attraverso l’utero della madre e, dopo la nascita, direttamente dall’ambiente in cui vive il bambino.
L’ambiente intorno al bambino, le persone che lo circondano e, perfino, gli stimoli psicologici sono in grado di regolare il funzionamento dei geni, di “spegnerne” alcuni e di “accenderne” altri, di rallentarne il funzionamento o di accelerarlo.
I primi mille giorni dal concepimento
Si parla di “primi mille giorni” perché è in questo periodo di tempo, dal concepimento fino ai due anni di età, che si forma gran parte dell’organismo. E proprio perché “in via di costruzione”, è più facile modificarlo, adattarlo all’ambiente. Nel gergo scientifico si dice che nei primi periodi di vita l’organismo è plastico, cioè è più facilmente malleabile.
Il comportamento della mamma durante la gravidanza è sicuramente un fattore centrale: alimentazione, esercizio fisico e assenza di stress sono tutti elementi che influenzeranno in modo estremamente importante lo sviluppo del sistema nervoso e la programmazione fetale, cioè la programmazione della funzione di tutti gli organi del feto.
Fino a qualche decennio fa, si pensava che le caratteristiche fisiche, biologiche e i comportamenti di tutti noi prendessero origine esclusivamente dai geni che abbiamo ereditato dalla madre e dal padre. Oggi, è ormai chiaro che le cose vanno diversamente, che non sono così semplici. Prestare la dovuta attenzione allo stile di vita e all’ambiente che ci circonda, dalle settimane che precedono il concepimento fino al secondo anno di età, non solo aiuta lo stato di salute del bambino, ma anche dell’adulto che sarà.
STILI DI VITA E DIETA, IN GRAVIDANZA, INFLUISCONO SULL’AMBIENTE UTERINO?
Non c’è fase della vita di una donna così complessa e faticosa, fisicamente, quanto i nove mesi della gravidanza. Perché in quel lasso di tempo, un organismo adulto ne crea un altro al suo interno.
Questo processo implica un dispendio energetico straordinario e per sostenerlo ogni donna è, biologicamente, programmata ed equipaggiata fin dalla sua nascita.
Per far sì che questa esperienza sia quanto più serena possibile, che la futura mamma la viva in salute e benessere, garantendo in tal modo un ambiente uterino ottimale, per lo sviluppo del feto, occorre che prenda delle precauzioni e adotti dei comportamenti appropriati alla sua nuova condizione.
Durante la gravidanza, mese dopo mese, il corpo della donna “cede” sostanze nutritive indispensabili al feto per “costruirsi”. Si tratta di vitamine, tra cui le vitamine del gruppo B e i folati, di minerali, tra cui calcio e ferro, di acidi grassi e di zuccheri.
Indicazioni sullo stile di vita più idoneo
Per poter mantenere in equilibrio il proprio apporto di tali sostanze senza andare in deficit, è necessario che la futura mamma ne assuma una quota superiore rispetto a quanto non facesse prima della gravidanza. Significa, pertanto, che in alcuni casi potrebbe essere utile una integrazione supplementare di tali sostanze.
È, ampiamente, riconosciuto che un’alimentazione sana in gravidanza e uno stile di vita salutare riducono le complicanze materne sia durante la gestazione sia durante il parto.
Ma quello che forse si conosce meno, e che molti studi epigenetici stanno dimostrando, è che questi due fattori sono importanti anche per il nascituro. Durante la vita intrauterina, infatti, si pongono le basi per la salute futura del bambino, fino alla vita adulta.
L’alimentazione durante la gravidanza influisce anche su molte malattie croniche come il diabete, l’ipertensione e malattie cardiovascolari. Queste problematiche, infatti, sembrerebbero fortemente associate a una non corretta nutrizione già durante la vita nella pancia della mamma.
Una dieta varia ed equilibrata è importante in ogni momento della vita ma lo diventa ancora di più in gravidanza.
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Qualora si volessero approfondire i temi dell’ereditarietà genetica, suggerisco la lettura di un libro, a dir poco, illuminante: L’Eredità Flessibile di Sharon Moalem.
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